Il
lucioperca è una delle prede più ambite e diffuse nelle nostre acque.
Osservazioni di Roberto Rigamonti
Alcune regole generali.
Il perca è un pesce che ha subito
un’opera di demonizzazione pari solo a quella oggi operata nei confronti del
siluro. Quando, circa 30 anni fa era presente in modo massiccio nel Tevere
leggevo e osservavo comportamenti allucinanti contro questo splendido pesce
anch’esso colpevole solo di adattarsi alle mutate condizioni ambientali nelle
quali altri predatori (reali, black, lucci) faticano a convivere.
Per anni il perca è stato oggetto di mattanze incredibili al punto che solo
qualche giorno fa ascoltavo (inorridito ma senza darlo troppo a vedere) i
racconti di un vecchio pescatore che narrava i momenti felici (??) in cui ogni
giornata di pesca regalava 80-100 lucioperca nel Tevere.
Poi, con fare orgoglioso parlava di esche segrete (…la sanguisuga e il
triotto) con cui eseguiva queste pulizie etniche di cui erano vittima pesci di
tutte le possibili taglie e misure.
Moltiplichiamo questo malsano comportamento per centinaia di pescatori e per
quasi venti anni e comprendiamo perché la sandra oggi si è rarefatta e quei
vecchi pescatori stanno riponendo gradualmente le loro canne in cantina (per
fortuna, aggiungo)
Oggi, si assiste ad autentiche mattanze nel periodo di frega nei correntoni
sotto le dighe nei quali le fattrici vanno a depositare e spesso, cadono nelle
decine di insidie diurne e notturne che gli vengono tese da falsi pescatori
senza scrupoli che pescano un pesce che non è protetto e probabilmente, lo
rivendono nei ristoranti della zona (anch’essi, privi di scrupoli).
Noi, angle moderni dobbiamo rifiutare a priori questi comportamenti che
abbassano la pesca al livello più basso immaginabile ed esponendola alle facili
critiche di chi vorrebbe limitarla per cui ogni singola operazione deve essere
compiuta nella coscienza che anche dai nostri comportamenti, decidiamo quale sarà
la pesca di domani. Uccidere un pesce, non è reato; fare una strage è una
barbarie che condanna l’autore e purtroppo, tutti coloro che praticano la
stessa disciplina.
Se poi aggiungiamo che il perca è un pesce terribilmente delicato e che mal
sopporta le manipolazioni , ci rendiamo conto che , cattura e rilascio debbono
essere spesso un tutt’uno con il solo intermezzo di una veloce foto se,
proprio dobbiamo.
Ma, manipolare una sandra non è sempre facile perché ha spine dorsali acuminate, qualche dentino di troppo in bocca e una presa maldestra può trasformarsi in una ferita nella mano (lasciamo perdere i guadini con i quali le ancorette non vanno d’accordo). Il perca va allora preso con decisione ma, con delicatezza agguantandolo all’altezza della testa davanti alla spina dorsale oppure, per la coda.
La soluzione alternativa è invece data
da ottimi strumenti come il Boga Grip ed i suoi simili che,
sono in acciaio e permettono di bloccare la preda per le mascelle con un
semplice movimento a scatto.
Avremo ottenuto una presa salda, sicura e potremo effettuare anche un rilascio
senza minimamente toccare la preda con le nostre mani spesso troppo asciutte per
non rimuovere il muco protettivo.
Morto manovrato
La pesca con il morto manovrato
permette di trasformare il nostro innesco in un pesce in piena difficoltà per
cui il suo procedere dovrà essere sempre ricco di lunghe soste, di ricadute, di
guizzi improvvisi, di balzi e di cadute verticali verso il fondale dove poi,
lentamente andrà a adagiarsi.
Ogni singola fase di richiamata dell’esca può provocare un attacco che sarà
delicatissimo quando le sandre sono tipicamente apatiche oppure, violento, nei
pochi momenti in cui queste perdono le staffe e si ricordano di essere predatori
di serie A.
Ma, con la pigrizia del perca, dovremo fare i conti nella maggioranza dei casi
ed alcuni piccoli accorgimenti saranno quindi vitali per facilitare la nostra
azione.
I primi angler ad avermi mostrato la
tecnica di pesca al manovrato avevano maturato la certezza che il piombo doveva
essere il più leggero possibile e questo è una dato di fatto non smentibile da
alcuno sebbene in talune circostanze, qualche grammo in più è di incredibile
aiuto. Una tipica lenza da perca piombature mediamente da 12 grammi e solo
raramente, da 15.
Oltre tali valori la naturalezza dell’esca nella fase di caduta, va a farsi
friggere anche se la mia esperienza è leggermente differente e molto più
legata a risvolti pratici e connessi alle situazioni in cui mi sono trovato ad
operare quali i nostri fiumi (Tevere, Arno, Po) e le relative forti correnti e
profondità che vanificano ogni speranza di “sentire” una toccata e di
pescar o semplicemente, l’esca contatto con il fondale La vera difficoltà di
questo metodo sta, infatti, nell’acquisire sensibilità tale da “sentire”
sempre l‘esca nei suoi urti, rimbalzi e nella “vita” che riusciamo a
trasferirgli con i nostri movimenti di canna.
Da qui nasce la necessità di operare recuperi lunghi che sondino attentamente
il terreno e riescano a scovare anche la sandra più pigra.
Una azione lenta e “ascoltata” riesce a sfruttare tutte le reali potenzialità
di un pesciolino ferito che saltella sul fondo, si ferma, cerca di riprendere la
via e ripiomba sul fondo stesso esausto. Magari, all’inizio è utile avere un
piombo leggermente più pesante dei canonici 10 – 12 grammi ed accettare di
salire verso quei 15 ed anche 20 al fine di acquisire la prima grossolana
sensibilità ma poi, fatta la mano, bisogna tornare subito al concetto di
leggerezza, delicatezza e sensibilità che è alla base del morto manovrato.
Le regole del recupero
Il maniè richiede polso e il rispetto di qualche regola pratica;
limitare al massimo gli spostamenti dell’esca causati dal recupero di mulinello
limitarsi a spostare l’esca con la sola punta della canna
mantenere la lenza in tensione
“pensare” di spostare l’esca lentamente e poi farlo “molto” più lentamente.
tenere spesso l’esca ferma sul fondo e muoverla con spostamenti della punta di pochi centimetri
alternare scatti a pause prolungate in cui teniamo l’esca sul fondo
Il Jigging Verticale
Nel dicembre passato ho avuto modo di
parlare della tecnica verticale quasi senza rendermi conto che in mare, stava
scoppiando una tecnica molto simile anch’essa basata sullo sfruttamento del
piano verticale rispetto a quello tradizionalmente orizzontale. Una buona
spiegazione me l’ha data il titolare di un grande negozio romano (Zippo-
Island Paradise NdR) che per il mare parlava di una sorta di memoria
biologica che si tramanda tra i le generazioni di pesci sopravissuti all’esca
mossa orizzontalmente ma che, parevano totalmente incapaci di difendersi da un
movimento verticale di un artificiale.
Onestamente, mi è sembrata una bellissima spiegazione magari priva di
fondamento ma, certamente affascinante per cui, ho voluto farla mia e
riproporvela. In questi frangenti i predatori sembrano perdere il controllo ed
il rateo di attacchi sullo stesso artificiale mosso nei due piani (orizzontale
ovvero quello classico del recupero / verticale per la nuova tecnica) è senza
dubbio a favore del secondo in modo sproporzionato al punto che talune aree che
sembravano prive di predatori, splendono di nuovo vigore.
Il vertical non si adatta a tutte le situazioni ma si trova a
suo agio perfetto laddove il morto manovrato è assai più
difficile perché la profondità è maggiore.
L’esempio
del ponte pieno di ostacoli che ho frequentato per alcuni periodi e che dava dei
perca eccezionali è lampante. Con il morto manovrato, la vera difficoltà era
quella di far arrivare l’esca sul fondo e recuperarla per almeno 3-4 metri
senza incagliare. Se l’operazione andava liscia allora, le possibilità di
sentire un attacco erano alte ma, se il passaggio non era millimetrico allora,
era la montatura a finire la sua storia sul fondo del fiume. Decisi di passare
al vertical jigging per pura prova e accettai di ancorare la mia barca in modo
da finire esattamente sulla verticale della zona “calda” e cominciai a
provare con alcuni grub appesantiti fino a 20 grammi per poi passare a
pesciolini montati su testine piombate pesanti.
La musica cambiò radicalmente e le catture divennero più costanti al punto da
costringermi ad adottare entrambe le tecniche scegliendo la migliore in funzione
esclusivamente della situazione dell’acqua e della corrente.
E’
interessante notare che nel caso del Drachko si usano pesci morti e solo in caso
di necessità di usa la montatura per innescare plastiche. Il confronto
comunque, fatte salve le debite situazioni eccezionali, è sempre a favore del
naturale rispetto al silicone al punto che una striscia di pesce montato sul rig
di Albert è spesso più efficace del migliore dei pesciolini finti.
Accade l’inverso con il vertical
jigging in cui si usano solo esche artificiali che lavorano sempre e comunque
meglio dell’esca naturale.
Probabilmente questo è dovuto alla differente mobilità che scaturisce da un
esca di gomma dotata di coda altamente mobile che da vitalità all’esca nella
fase di salita così come in quella di caduta mentre nella montatura a mort maniè,
la mobilità e l’efficacia sono date dai colpi che infliggiamo alla canna e
alle vibrazioni del nostro polso durante il recupero.
Sta di fatto che volendo definire una scaletta di priorità d’uso tra vertical
e mort maniè ne scaturisce una tabella del genere:
Situazione | Mort maniè |
Acqua bassa e lenta (o ferma) | Si |
Acqua profonda e lenta | Si |
Acqua profonda con ostacoli | Si |
Piloni di ponti | Si |
Fondali erbosi | No |
Legnaie | No |
Come comportarsi
Le uscite di cui sto parlando non
possono prescindere dall’uso di una barca all’interno della quale trovano
posto alcuni accessori molto utili per ogni operazione.
Un ecoscandaglio portatile è un elemento quasi indispensabile se non si vuole
pescare senza sapere esattamente dove stiamo tirando le nostre esche.
Non servono modelli ultra costosi perché esistono aziende leader come Eagle e
Lawrance che offrono portatili facili da usare e che occupano pochissimo spazio
in borsa ed in barca. Sono dotati di trasduttore con ventosa che aderisce
praticamente a tutte le superfici per cui anche usando una ripiegabile, è
possibile avere il nostro eco in perfetta forma.
Ho anche detto che è utile avere un accessorio tipo Boga Grip o analogo della
Berkley per poter mettere la preda in barca senza doverla troppo maneggiare e
magari, ferire involontariamente. Per questo è bene che il fondo della barca
abbia un piccolo materassino su cui poggeremo la preda se le operazioni di
slamatura sono più complesse e magari, richiedono l’uso di pinze. In questo
caso dobbiamo averne sempre almeno due con noi affinché si possa slamare e sia
anche possibile tagliare i filati e le trecce che compongono i finali.
Con queste premesse, l’azione di pesca si sceglie in funzione delle condizioni
che troviamo davanti a noi e che ci portano ad alternare il mort maniè ad una
ricerca verticale delle prede laddove la prima tecnica sembra fare fatica.
Alcuni ambienti sembrano fatti apposta per un sistema rispetto all’altro per
cui, non dobbiamo fare altro che impratichirci e capire come dobbiamo presentare
la nostra esca.
Dopo poche uscite andremo quasi in automatico semplicemente cambiando l’esca
che abbiamo in fondo alla lenza.
Una volta toccherà alla gabbietta ideata da Drachko, la successiva magari è il
momento di un bel Fireball colorato da far sbattere sul fondo per convincere la
sandra ad attaccare.